Tre domande a…Roberto Piumini


Tre domande a…serve a uscire dal blog, a impedirgli di diventare semplicemente il punto di vista dei titolari.
Ci siamo detti che ci servivano pensieri pensati da altri, persone che come noi sono state investite dal digitale mentre abitavano un mondo diverso. Vogliamo capire come quest’ospite invadente è entrato nella loro vita e nel loro lavoro, nella loro arte e nella loro scrittura, quali corde tocca e cosa promette per il futuro.

L’ospite di questa settimana è Roberto Piumini, ex-insegnante, attore, scrittore, poeta, traduttore e tante altre cose che hanno a che fare con la parola.

Nei giorni scorsi siamo andati a visitare la casa di Alessandro Manzoni, in piazza Belgioioso a Milano. Il suo studio, ancora intatto, contiene la scrivania sulla quale si dedicò alla stesura dei Promessi Sposi, un’opera che coincide con una vita. Ci sono i suoi pennini, mediatori di quel rapporto, così laborioso, con la scrittura.

Difficile immaginarmi (inevitabile fictio) scrittore irregolare e nervoso come sono, nei panni del sontuoso e metodico prosatore, e poi (fictio nella fictio) davanti non a bianchi, materici fogli odorosi di cellulosa brianzola, con ferrea penna in mano (ignoro se usasse ancora quella d’oca, di largo impiego fino a metà dell’800, e l’ultima riscrittura del romanzo è del 40/41) ma allo schermo baluginante del Mac. Una cosa è forse sicura (notare la contraddizione): la velocità/possibilità di correzione testuale del computer, la minore fatica di muscoli/occhi/attenzione, avrebbe indotto Alessandro a soluzioni ed economie linguistiche ancora più efficaci di quelle ottenute nella famosa risciacquatura. Sicché, un guadagno (sfida quasi cibernetica indovinare come): immaginando, con la dovuta irriverenza, che la facoltà di togliere il sempre troppo della scrittura permessa dal computer, sarebbe potuta valere anche per tale maestro. Un “manzoniano che tira quattro paghe per il lesso”, invece, convinto dell’assoluta perfezione del gran romanzo, penserebbe che Windows, col suo vertiginoso potere di modifica, avrebbe solamente fatto danni.

Il tuo “Stralisco” è un’opera che precede l’epoca del digitale di massa, la sua prima uscita risale a 29 anni fa, il World Wide Web arriverà 4 anni dopo, nel 1991. Eppure l’idea del viaggio senza muoversi da casa la ritroviamo in quelle stanze dove il pittore e il bambino, affetto da una rara allergia alla luce, decorano i muri.
Le loro meravigliose immagini, che evocano il mondo ma non sono il mondo, sembrano un’anticipazione di ciò che sarebbe venuto dopo, e forse anche un rimpianto per ciò che si perde quando la realtà è risucchiata in uno spazio così ridotto.

Sì, e anche no, perché ne Lo Stralisco, bambino e pittore (che non “decorano” i muri, ma si propongono di dipingervi il mondo, che ambiscono alla sostanza poetica del mondo) sentendosi nello stretto e nel frammentario, dapprima decidono di abolire gli spigoli delle pareti, poi di allargare lo spazio della pittura da una a tutte le stanze, e poi addirittura (se il piccolo non se ne andasse prima, alla mal’ora) con l’aiuto, nella loro amorosa trinità, del Padre, di moltiplicare fisicamente, sublime ingenuità corporale, l’alloggio stesso. La loro differenza con i guardanti mediatici resta fondamentale: quei due fanno, cercano nomi e figure, si sporcano le mani nella scelta, mentre questi, attraverso il tubetto catodico (so che non esiste più, ma mi serve per il jeu-de-mot) li “sorbiscono”.

Raccontaci del tuo rapporto col digitale, quando e come si è inoltrato nel tuo lavoro e nella tua vita, facci sapere quanto e se può avere influenzato il tuo modo di pensare e di scrivere.

Per darmi arie da personaggio superepocale, dico a volte di aver attraversato, riguardo alle tecniche di scrittura, tutto il percorso dal medioevo alla postmodernità. In effetti i miei quaderni di poesie adolescenziali e, per parecchi anni, le storie da pubblicare furono scritte a penna, rigorosamente in inchiostro nero, e solo poi trascritte a macchina. Seguì, per la prosa, il passaggio alla scrittura meccanica, poi ai primi sistemi di scrittura elettronica, poi al computer, macchina che ancora oggi (felicemente scevro dai faticosissimi, imbarazzanti social) uso principalmente per tre cose: la scrittura, l’informazione leggera e certi viaggi santexuperiani con Google Earth per le plaghe sperdute del mondo, persino dentro i crateri dei vulcani. Ultima a cedere alla scrittura a macchina è stata la poesia: andai a lungo predicando a me stesso che, corporale com’è, non poteva rinunciare alla fisicità, al gesto del braccio e della mano, alla grafia in quanto sigla antropologica, eccetera. Poi cedetti anche in quello, perdendo certo in intimità gestuale, ma guadagnando, ad esempio, in possibilità di creazione tipografica, nell’impostazione visiva di quel magico pacchetto che sono i testi di poesia (ai poeti interessa anche questo…) Quanto ai cambiamenti del mezzo, a parte quanto detto ora e prima, parlando di Manzoni, la scrittura elettronica mi permette il sempre più il gioco della correzione-subito-efficace, il delizioso accorciamento. La stessa scelta del font è un altro gioco di cui parlerei a lungo: prima di ogni testo c’è un attimo di pregustante scelta sul “carattere” tipografico da usare: una specie di pre-scrittura in cui, con nuovo e più astratto tipo di “materialità”, scelgo il tipo, il segno, il “tono” visivo di una certa azione verbale. Queste note, per esempio, sono scritte in “Garamond”: il font più istituzionalmente culturale e sapienziale…

Roberto Piumini

roberto-piumini-2Dal 1978 ad oggi Roberto Piumini ha pubblicato per bambini libri di fiabe, racconti corti e lunghi, romanzi, filastrocche, poesie, poemi, testi teatrali, testi di canzoni, testi per teatro musicale e cori, traduzioni, adattamenti presso più di 70 editori italiani. Una cinquantina delle sue opere sono state tradotte all’estero.

Dal 1990 ha pubblicato per adulti romanzi, raccolte di racconti, testi di parodia letteraria, canzonieri, poemi narrativi, presso una dozzina di editori, ha scritto testi poetici e narrativi su illustrazioni e in cataloghi d’arte, ha tradotto in versi poemi di Browning, i Sonetti e il Macbeth di Shakespeare, il Paradiso Perduto di John Milton e l’Aulularia di Plauto, con aggiunta di finale apocrifo.

È stato fra gli autori e ideatori della trasmissione televisiva RAI L’Albero Azzurro, ha scritto e condotto le trasmissioni radiofoniche Radicchio e Il Mattino di Zucchero.


2 risposte a “Tre domande a…Roberto Piumini”

  1. È bello constatare come da un intervistato all’altro la rivoluzione digitale, che se si fosse trattato di genetica avremmo potuto definire “pluripotente” – cioè che può in diversi e parecchi aspetti – abbia in qualche modo trasformato professioni per antonomasia analogiche e per ogni persona ci sia almeno un aspetto che è entrato nella quotidianità lavorativa.
    Mi piace pensare a Roberto Piumini che, tra un’opera e l’altra, fa un viaggio tramite Google Earth (mi permetto di farle presente che può addirittura vagare per lo spazio e visitare il paesaggio lunare), sceglie il font migliore o con un attimo di esitazione dà una sforbiciata al testo scritto sullo schermo.
    Leggendo l’excursus dalla penna al computer, mi viene in mente la prima volta che ho fatto una fotografia digitale a mia nonna, la quale non si capacitava di poter vedere immediatamente l’immagine senza stamparla, scegliere la migliore e addirittura ingrandirla sullo schermo; tre anni fa, alla rispettabile età di 92 anni, mi ha chiesto di provare il mio Kindle, “perché su quel libretto si legge davvero bene”.

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  2. La ringrazio, signor Piumini, perché il suo contributo mi ha fatto riflettere sul mio ruolo di insegnante.
    Cercherò di mediare e smettere di “predicare” ai miei alunni che l’impeto e la creatività della parola scritta nascano solo attraverso la scrittura su carta ed accoglierò la sua esperienza come incentivo per accrescere la mia didattica ed andare incontro ai miei ragazzi, che con il digitale sono decisamente più avanti di me.

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