Periodicamente si apre il dibattito, solo per chiudersi immediatamente, sulla figura dell’influencer e dei confini della sua azione. Nei giorni scorsi è accaduto in relazione al ddl Zan, quando due coniugi, che di mestiere fanno proprio gli influencer, sono entrati nel dibattito prendendo drasticamente posizione a favore del provvedimento ma, soprattutto, esprimendo giudizi trancianti sulla politica, con particolare riferimento a un personaggio politico davvero ambiguo e inquietante.
Secondo alcuni critici tutto ciò che fanno i due coniugi avrebbe finalità puramente commerciali, veicolate attraverso buone intenzioni. Niente di nuovo, l’influencer è, detto in modo stringato, un rappresentante di commercio, esattamente come il venditore di aspirapolvere, solo che usa mezzi di persuasione assai più sofisticati e suggestivi, non necessariamente leali, malgrado l’approccio ruffiano e affettivo.
Il tempo di Willy Loman, triste e frustrato protagonista de “La morte di un commesso viaggiatore”, è tramontato, anche se non del tutto.
Non ci voleva certo lo scontro sul ddl Zan per scoprire che gli influencer, tecnicamente, sono agenti di commercio plurimandatari. Può accadere che sposino temi pro-sociali, in questi casi non bisogna andare tanto per il sottile, incassando possibili benefici collettivi, tuttavia essi rimangono agenti di commercio e la sostanza delle cose non muta. L’interesse prioritario rimane quello dell’influencer e poi di chi lo paga. Su questo non c’è un minimo di dubbio.
Non c’è inganno, dunque, è tutto chiaro, l’influencer apre una bottega nella nostra sensibilità, proprio questo è il suo bersaglio, il suo giacimento di diamanti, la nostra sensibilità, e se per accedervi serve farsi paladino di un diritto allora si farà paladino. Non sono loro, gli influencer, il problema, possiamo anche illuderci e possiamo pure aggredirli, ma quel problema è da un’altra parte, molto più vicino a noi, nella già detta sensibilità, sempre più desolata e scalabile, simile a quella di un bambino a cui il pedofilo offre la caramella, aprendosi spazi inauditi nella sua vita, fino a impossessarsene.
Il bisogno d’affetto, di attenzione, di considerazione di tutti noi, sempre più frustrati, la necessità di sognare, che si spinge fino ad ammirare chi ci umilia mostrandoci l’attico da milioni di dollari a New York, inaccessibile ai comuni mortali e comprato spacciando caramelle, vendendo sogni impossibili a chi non potrà realizzarli ma potrà sognare di sognarli. Questo è il vero pericolo, milioni di cuori assetati perché prosciugati dalla virtualizzazione della realtà e da modelli educativi, familiari e civili, che non rispondono a nessuna domanda esistenziale.
Non ci sono i cattivi, inutile cercarli tra gli influencer, questi fanno solo il loro mestiere, violano portoni spalancati, le cui sentinelle lasciano passare le celebrità e gli chiedono pure l’autografo. Ma dopo ogni incursione manca sempre qualche soprammobile o qualche oggetto prezioso, finito nella cassaforte degli incursori, passando però prima attraverso quella dei loro committenti. Non è, infatti, un passaggio diretto. Sarebbe troppo volgare. Gli influencer si limitano a favorire la lubrificazione del sistema.
Allo stesso modo non esistono antidoti facili, solo la constatazione che ignorare i nostri figli significa appaltarli a chi li trasforma in royalties e vende loro una visione dell’esistenza farlocca, sulla quale è impossibile costruire il futuro ma da cui è facile ricevere dolorose smentite.
Domenico e Luciano Barrilà
Immagine di Karsten Winegeart, via Unsplash