Tornano le Tre domande a… con un’intervista a Stefano Macconi che, dal suo osservatorio speciale presso l’Ufficio Beni Culturali della Diocesi di Cremona, dove si occupa di ricerca e di organizzazione di percorsi didattici, ci aiuta a riflettere sugli intrecci tra arte e digitale.
Le sue riposte partono da lontano, dai primi contatti tra due mondi apparentemente antitetici, e aprono la prospettiva su ciò che arte e digitale possono costruire, insieme.
Grazie a Stefano e buona lettura!
Il nostro blog è interessato principalmente alle interazioni tra gli sviluppi del digitale e le attività dell’uomo. Indubbiamente l’arte, insieme alla tecnica e alla scienza, è uno degli strumenti attraverso i quali noi immaginiamo e poi costruiamo presente e futuro. Noi sappiamo quale accelerazione abbia impresso il digitale alla scienza e alla tecnica. Cosa è accaduto, secondo te, nell’incontro arte-digitale?
L’avvicinamento del mondo dell’arte alle nuove tecnologie digitali risale ai primissimi anni ’60 del Novecento, quando alcuni artisti hanno inserito nelle loro performance e opere d’arte i primi schermi televisivi. Questi primi approcci sono stati molto pratici e fisici: particolare attenzione è stata posta dagli artisti sul funzionamento dei televisori alterando, mediante l’utilizzo di grandi magneti, la trasmissione del segnale elettromagnetico.
Successivamente, a partire dagli anni anni ’70 soprattutto, l’attenzione si è spostata sulle potenzialità creative che le strumentazioni digitali potevano offrire. La possibilità di registrare immagini, suoni e poterli trasmettere a seconda delle diverse esigenze dell’artista, ha alimentato tutta una ricerca finalizzata a creare uno stretto collegamento con il pubblico, vero e proprio protagonista di numerose performance. Una nuova evoluzione si è avuta con la diffusione dei computer, macchine digitali dalle potenzialità straordinarie e dagli utilizzi ben superiori rispetto ai “semplici” televisori e videoregistratori. Grazie a questa nuova tecnologia si poteva “creare” arte, e non solo replicare performance, adeguando le ricerche alle innovazioni digitali. I successivi miglioramenti di queste macchine hanno offerto un’ampia gamma di possibilità produttive che sono poi confluite negli strumenti tecnologici odierni, di grande utilizzo, come smartphone e tablet.
Uno degli aspetti più interessanti di questo incontro, ci pare intuitivo, potrebbe essere quello legato alla conservazione dei beni culturali, alla loro esatta datazione, alla certificazione della loro identità, al loro restauro. Qual è il tuo parere in proposito?
Uno degli ambiti più affascinanti della mia professione è legato allo studio e all’analisi delle opere d’arte, nel tentativo di comprenderne le fasi esecutive e fornirne una datazione quanto più precisa. Restauratori e studiosi tendono ad approcciarsi alle opere attraverso una serie di indagini tecnologicamente sempre più avanzate: TAC, raggi X, fotografie di dettagli in alta definizione sono alla base delle fasi progettuali di un restauro. A questo si aggiungono sempre nuovi strumenti preziosi per cogliere dettagli importanti relativi a dipinti, affreschi, sculture…
C’è un MA importante, quasi una sorta di piccola consolazione per gli storici dell’arte e non solo. Per quanto la tecnologia sia strumento sempre più rilevante e preziosa fonte di conoscenza, essa, per il momento, fatica ancora a comprendere l’aspetto umano di ogni opera d’arte. L’uomo, l’artista che sta alla base del processo creativo, sfugge ancora, fortunatamente, alla lettura minuziosa delle “macchine”. Ci si trova così ancora in difficoltà nel comprendere pienamente il significato di un dipinto apparentemente semplice come la Tempesta di Giorgione per esempio.
Allo stesso modo, il Salvador Mundi, attribuito a Leonardo da Vinci da una parte della critica e venduto pochi anni fa al Louvre di Abu Dhabi, è davvero originale? Cosa ci raccontano le analisi approfondite che l’hanno interessato? Hanno sciolto i dubbi al riguardo? NO! L’opera d’arte stessa nella sua fragilità rappresenta un limite alla ricerca tecnologica: la sua essenza irripetibile e quasi “sacra” ne richiede un rispetto assoluto da parte di quanti vi si accostano per studiarla e analizzarla.
David Hockney, uno dei massimi esponenti della pop art, utilizza spesso il tablet per creare le sue opere. Una pratica già molto in uso tra gli illustratori e non solo. Si tratta di una mutazione tecnica o vedi altri aspetti?
Domanda estremamente complessa e che si ricollega alla prima risposta. Numerosi sono gli artisti contemporanei che sperimentano e realizzano i loro lavori utilizzando, totalmente o in parte, smartphone, tablet e fotocamere ad altissima risoluzione – chissà quali nuove tecnologie saranno a disposizione anche solo fra 5 anni – .
Credo che i sistemi digitali, attuali e futuri, abbiamo ampliato, e amplieranno sempre di più le possibilità per gli artisti di raccontarsi e costruire un rapporto con l’osservatore. Restare al passo con gli sviluppi tecnologici, se non anticiparli, è esigenza e caratteristica dell’artista che è quasi costretto a essere un precursore dei tempi. Non può rimanere legato al passato tanto che nessuno si sognerebbe nel 2021 di replicare alla perfezione tecnica, stile e modelli di Picasso.
Le discussioni riguardanti quella che generalmente è definita arte digitale sono particolarmente accesi e mettono in dubbio molti degli aspetti fin qui elencati: secondo alcune letture gli artisti in realtà stanno solo facendo uso di tecnologie da un punto di vista meccanico. Sembrano quasi non vivere la realtà digitale contemporanea fortemente connessa con il mondo dei social, al momento non ancora particolarmente esplorato.
Allo stesso tempo anche l’idea di opera d’arte è messa in discussione – ma a questo era già arrivato Walter Benjamin negli anni trenta del Novecento col suo saggio L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica – e inevitabilmente deve essere riletta secondo criteri nuovi. Siamo quindi di fronte ad un’evoluzione fisiologica del rapporto arte-digitale, come è già avvenuto anche nel recente passato, di cui molti aspetti ci sfuggono ancora.
Stefano Macconi
Al termine dei cinque anni di liceo, ho intrapreso un percorso universitario, fra Brescia e Milano, seguendo la mia passione per la storia dell’arte. Dopo la triennale svolta a Brescia, mi sono trasferito a Milano per la magistrale e la Scuola di Specializzazione in Beni Culturali. Durante questo percorso di formazione ho iniziato a lavorare come educatore in una cooperativa, occupandomi soprattutto di bambini e ragazzi delle scuole medie e superiori. Contemporaneamente ho mantenuto vivo l’interesse per la storia dell’arte collaborando con realtà locali, organizzando mostre in Italia e in Repubblica Ceca.
Da un paio di anni lavoro invece presso l’Ufficio Beni Culturali della Diocesi di Cremona, occupandomi di ricerca e realizzando percorsi didattici per i musei diocesani.
Foto di Maïa Leleu, via Unsplash