E se i social fossero poco social?


I social network sono il luogo delle granitiche certezze, l’abbiamo già detto, lo viviamo quotidianamente quando vediamo ogni questione trasformarsi in lotta al coltello tra bande contrapposte.
Ho visto, davvero…le ho viste con i miei occhi, discussioni violentissime tra chi sosteneva che il rotolo della carta igienica dovesse stare con il lembo da strappare da una parte o dall’altra, dunque è rimasto davvero poco che possa stupirmi a riguardo.

Quando navighiamo su quelle piattaforme scegliamo di immergerci in un ambiente in cui, per dirla con i latini, tertium non datur, la vita è bianca o nera, le sfumature sono fastidiosa materia per intellettuali o persone con molto tempo da perdere, categorie che nella logica binaria della modernità tendono a coincidere.

Ma i social sono anche il luogo della semplificazione, quindi non possiamo stupirci se provando a sollevare un poco il tappeto scopriamo che il peggio deve ancora venire, perché esiste un’altra questione in cui anche avere una seconda opzione sarebbe una fortuna di quelle da fregarsi le mani.

Parlo della possibilità di non partecipare, di avere una scappatoia, una via di fuga dalla presenza online, di avere la libertà di non prestarsi al gioco della condivisione. Attenzione, qui c’entra poco l’avere un profilo su uno specifico network, le possibilità sono tante, e ogni fascia di età, genere o gruppo di interesse ne ha una di riferimento. Facebook e Twitter vanno per la maggiore passati i trenta, Snapchat e musical.ly spopolano tra gli adolescenti, Pinterest accoglie un numero di donne enormemente superiore a quello degli uomini, LinkedIn è frequentato soprattutto da persone con un alto livello di istruzione, YouTube è ecumenico e intergenerazionale.
Le proposte sono innumerevoli, difficile non trovarne una che almeno in linea teorica sia stata costruita su misura per “noi”.

Di fronte a questa invasività ci si chiede, domanda fondamentale, se è possibile, oggi, non esistere sui social network.
Secondo i più entusiasti un quesito del genere non è nemmeno oggetto di discussione.  Se vuoi lavorare, infatti, devi esserci, lo stesso se vuoi studiare, se vuoi divertirti, se vuoi conoscere persone nuove. Devi esserci sempre.
Non esiste opzione diversa. Quella della rete e, in particolare, quella dei social network, è una festa a cui è vietato non partecipare, a meno che non si tenga proprio a fare la figura di quelli che invece di un vocale su WhatsApp mandano una lettera scritta con la penna d’oca.

D’altra parte, è vero che questi strumenti sono così diffusi, così profondamente intrecciati con la nostra vita quotidiana, che forse potrebbe essere il caso di pensarci con un attimo di pazienza in più e un poco di ironia in meno, ponendosi ulteriori quesiti, ad esempio su quali possano essere le conseguenze della scelta che faremo rispetto alla nostra partecipazione, mi riferisco al mantenimento e alla cura delle nostre reti di amicizie, alle nostre possibilità lavorative, alla nostra piena partecipazione al mondo che ci circonda.

La risposta più sensata, io credo, è che non esiste una sola risposta.
Ognuno di noi possiede abitudini differenti e reti sociali costruite in modo diverso, dire che la soluzione buona per tutti sia stare dentro o stare fuori sarebbe una ingiusta semplificazione, ma anche una soluzione illusoria.
Eppure, la sensazione è che in molti tendano a sovrastimare l’utilità dei social network.
Una cara amica mi racconta di avere deciso di cancellare da qualche settimana il suo account Facebook, senza una particolare causa scatenante, semplicemente ha deciso che preferiva passare in altro modo il tempo che gli dedicava. Mi dice che la cosa che più l’ha colpita è che fra i suoi 400 abbondanti contatti solo in due le abbiano chiesto come mai fosse scomparsa: una era sua zia, l’altra la sua migliore amica. Entrambe persone con cui aveva una normale frequentazione offline.

La nostra è una specie sociale, lo è da sempre e continuerà ad esserlo almeno fino alla prossima evoluzione. Alfred Adler, fondatore insieme a Freud e Jung della psicologia del profondo, vedeva un fondamentale indicatore di normalità nella qualità delle relazioni sociali intrattenute, riferendosi con questo termine a rapporti di profonda e reale comunanza. In tempi più recenti, una corposa mole di ricerche ha dimostrato che una rete di relazioni sociali intese come le intendeva Adler è un fattore necessario allo sviluppo di un pieno benessere psicofisico.
Senza voler essere apocalittici, e riconoscendo che per chi lavora alcuni social network possono rappresentare uno strumento di notevole utilità, non posso fare a meno di domandarmi se davvero vogliamo considerare le amicizie di Facebook o di Snapchat come la nuova normalità, perché se così fosse scegliere di restarne fuori diventerebbe davvero una possibilità illusoria e dovremmo cominciare a domandarci cosa penserebbe Adler di queste amicizie che nascondono nell’immediatezza di un clic una distanza siderale.

 

Luciano Barrilà


2 risposte a “E se i social fossero poco social?”

  1. Da semplice osservatrice, ho constatato che i social network sono dei potenti mezzi di comunicazione ma devo essere saputi usare. Ormai tutto è poco “social” e non si ha più la capacità di fare gruppo, né virtuale né reale. Una volta si diceva “l’unione fa la forza”, ma ora siamo tutti soli e più vulnerabili senza neanche rendercene conto. Siamo solo troppo impegnati a metterci in “vetrina” sui social network e a svolgere altre, spesso futili, attività sui nostri dispositivi mobili. E comunque, il lembo della carta igienica deve pendere a destra 😉

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    • Monica, sono d’accordo!
      I social vanno saputi usare, l’idea che siano “autoesplicativi” è quasi vera solo dal punto di vista pratico, non certo rispetto al senso dell’utilizzo.

      Detto meglio, come postare una foto su FB non è un gesto che richieda manuali, sapere se abbia senso o meno farlo richiede una “competenza” non banale e certamente non una di quelle che Facebook ha interesse che i suoi utenti abbiano.

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