Tre domande a…Alberto Rigolli


Dopo una lunga pausa tornano le “tre domande a…”, e lo fanno con un’intervista che abbiamo subito intuito sarebbe stata speciale.

L’ospite è Alberto Rigolli, un medico da anni impegnato in Italia e in Africa con l’organizzazione CUAMM. Le sue risposte allargano enormemente i confini del nostro mondo, avvicinando una realtà solo apparentemente lontana al punto da farcela quasi toccare.

Non solo, però, le sue parole portano il nostro sguardo a posarsi su territori e situazioni che spesso conosciamo solo per stereotipi, ma entrano anche nella carne viva della questione che cerchiamo di affrontare qui, su Correre pensando: in che modo la tecnologia cambia le nostre vite, i nostri rapporti, le nostre professioni?

Quella dei Medici per l’Africa (CUAMM) è una realtà che a noi appare sfocata, poiché tutto ciò che non tocchiamo direttamente con mano finisce per diventare semplice “narrazione”, perdendo quella consistenza che permette di apprezzarne l’essenza.
Raccontaci in poche righe che cosa vedrebbe una persona comune se fosse accanto a te in certi momenti e soprattutto che cosa accadrebbe nella sua testa.

Se una persona “normale” vivesse accanto ai medici con l’Africa in una delle situazioni quotidiane che vivono, si troverebbe in un altro mondo.
Non è semplice, in poche ore d’aereo, vivere in un mondo completamente diverso dal nostro. Ci vuole tanta capacità di adattamento, semplicità, concretezza e, perché no, un briciolo di sana incoscienza.

Del resto, non è una favola, è il mondo di milioni di persone, di quelle che fanno fatica davvero e che provano arrabattandosi in qualche modo a sopravvivere.
Anche loro devono pensare a mangiare, curarsi, seguire i figli, pagare le loro tasse scolastiche, provare ad avere un’abitazione.
Non è una realtà sfocata, è estremamente vera concreta, dura. Come la vita che nasce e la morte con la quale devi confrontarti quotidianamente.

La mia paura per i nuovi medici, giovani (per lo più donne) che vengono là con noi nei nostri progetti, a condividere sei mesi della loro vita durante il corso della specializzazione, è proprio questa difficoltà che hanno a confrontarsi con la morte, quotidiana, difficile per noi occidentali.
Nel mio reparto di maternità quasi ogni giorno moriva una donna di parto, in un ospedale, in una capitale!
Immediatamente, dalla narrazione, si passava al pugno nello stomaco, alla crudezza di una vita che là esiste in questi termini e, per noi, spesso è incomprensibile.

Qui ci diamo da fare, a volte anche giustamente, per cose abbastanza superflue, siamo perennemente preoccupati per situazioni che potrebbero risolversi con un approccio diverso e là si tratta di ragionare capovolgendo la prospettiva.
Devi fare i conti con la sopravvivenza pura e semplice.
È un’ottica molto diversa dalla nostra e richiede tempo per adattarsi.

Non so cosa proverebbe una persona “comune” ma sono sicuro che troverebbe in sé risposte e risorse impensabili stando qui. È la potenza dell’uomo che sa adattarsi (a qualsiasi età) a situazioni e logiche diverse.
L’ho sperimentato quasi quotidianamente e ne sono estremamente grato.

Caro Alberto, dopo parole come le tue è difficile procedere con la seconda domanda, perché davanti a tanta “nudità” si rimane spaesati, ridimensionati, ma proviamo lo stesso a fare un altro passo. Vorremo chiederti quali cambiamenti, secondo te, si sono registrati nell’organizzazione del CUAMM e nelle sue modalità di intervento, da quando la tecnologia digitale è entrata a fare parte del quotidiano, ma sarebbe meglio se ci dicessi come tu personalmente percepisci queste novità in rapporto alla tua opera, qual è l’influenza che ti sembra di avvertire.

Ho potuto vivere il cambiamento velocissimo della tecnologia digitale.
Sono partito quando funzionavano a malapena le radio e io ho saputo che mia moglie aspettava nostra figlia Cristina da un messaggio radio.
La meravigliosa attesa delle lettere, differite, ma cariche di riflessioni, sono state sostituite, in pochissimi anni, dalle video chiamate istantanee.
Sicuramente meglio, più partecipazione diretta ma con qualche rischio del non poter “decantare” notizie e attese.

Certamente alcuni esempi sostengono le valenze estrema del digitale; la telemedicina che permette di leggere le radiografie del Mozambico nell’ospedale di Cremona, i telefonini che ormai sono anche nel più remoto villaggio della foresta, ricaricati con cellule solari.
Grazie a questi in Sierra Leone è partito un progetto (il primo in Africa) in cui il Cuamm ha sviluppato una rete di pronto soccorso nell’intero paese.

Pensare di potere soccorrere, certo anche grazie ad una organizzazione capillare, una mamma che deve partorire, poterla aiutare con barche e ambulanze a raggiungere l’ospedale mentre prima era destinata, quasi sicuramente, a morire dietro una bicicletta o una moto per strada non è irrilevante.

La formazione del personale sanitario grazie a lezioni a distanza, la possibilità di sapere direttamente le cure e le tecniche più avanzate anche se sei lontano.

Ma la digitalizzazione ha aiutato anche l’Africa perché ha dato alle persone, anche le più isolate, la possibilità di condividere, di essere davvero in un mondo globale. Anche loro sanno di noi, di quello che succede, nel bene e nel male e questo li rende più “cittadini del mondo”.

Abbiamo parlato prima di “narrazione”, alludendo alla distanza esistente tra ciò che accade realmente nelle drammatiche situazioni di degrado in cui operate e quanto crediamo di saperne dal nostro asettico punto di osservazione.
Ti chiediamo se la progressiva smaterializzazione della realtà cui stiamo andando incontro con l’affermarsi della comunicazione digitale, non possa creare ulteriore distanza tra noi e la sofferenza di cui ti occupi e più in generale quella che attanaglia diverse aree del mondo.

La smaterializzazione delle notizie, la conoscenza istantanea di ciò che accade nel mondo; lo tsunami con migliaia di morti, le torri gemelle, la fame, qualsiasi notizia, credo veramente porti con sé un duplice aspetto.

Da un lato ti permette di sapere, di essere con gli altri, sempre “connesso” come piace ai giovani e questo può essere un bene ma dall’altro la mole di informazioni, la ripetitività di notizie spesso tendenzialmente negative creano nelle persone una sorta di distacco da quello che succede davvero.
Succede, avviene ma è là, lontano, sembra quasi che ci interessi poco o almeno questa è la sensazione che si avverte.
La sofferenza richiede concretezza, vissuto, contatto diretto, impegno.

Coniugare conoscenza della notizia e dei problemi (grazie alla digitalizzazione questo è possibile) con vero coinvolgimento non è semplice.
È una sfida, e per esperienza dico che una delle chiavi che consentono l’apertura di questa connessione è la testimonianza diretta. Ascoltare qualcuno che vive questi drammi, che cerca di raccontarteli con vero trasporto arriva alle corde del cuore, quelle più vere e sensibili, quelle che la digitalizzazione rischia di ignorare e quelle che il toccare con mano fa invece vibrare.

Alberto Rigolli

rigolli

Alberto Rigolli è nato nel 1960.

Da gennaio 1986 a marzo 1987 – Guardie mediche presso la casa circondariale di Lodi.

Da aprile 1987 a luglio 1989 – Medico presso l’ospedale Dodoma, in Tanzania, con Organismo di Cooperazione CUAMM Medici con l’Africa nel reparto di ostetricia e ginecologia.

Da agosto 1989 a dicemnre 1989 – Guardie mediche presso l’ASL di Iseo (BS).

Da gennaio 1990 a maggio 1992 – Dirigente medico presso il pronto soccorso dell’ospedale di Cremona.

Da giugno 1992 a dicembre 1994 – Medico presso l’ospedale di Arua, in Uganda, con Organismo di Cooperazione CUAMM Medici con l’Africa nel reparto di ostetricia e ginecologia.

Da dicembre 1994 a dicembre 1996 – Medico presso l’ospedale di Iringa, in Tanzania, con Organismo di Cooperazione CUAMM Medici con l’Africa nel reparto di ostetricia e ginecologia e funzioni di coordinatore dei Progetti-Paese per la Tanzania.

Da gennaio 1997 a gennaio 2001 – Dirigente medico presso il pronto soccorso dell’ospedale di Cremona.

Da gennaio 2001 a settembre 2016 – Dirigente medico nel reparto di ostetricia e ginecologia dell’Azienda Ospedaliera di Cremona.
Attività prevalente chirurgia laparoscopica.

Da settembre 2016 – Consultant ostetrico-ginecologo del Princess Christian Maternity Hospital di Freetown, in Sierra Leone (maternità centrale del paese con 6000 parti l’anno).

Da settembre 2018 – Responsabile ostetricia e ginecologia nell’ospedale di Oglio Po.


3 risposte a “Tre domande a…Alberto Rigolli”

  1. Quanta umanita’ raccontata in poche righe. Sapere che al mondo esistono ancora persone così impegnate nel sociale, dedite a salvare vite umane, mettendo magari a rischio la propria, mi obbliga a fare i conti con le mie lamentele quotidiane se qualcosa non va come io avrei voluto. Grazie Luciano per aver condiviso una testimonianza di vita così intensa.

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