Nei giorni scorsi si è molto parlato di un brevetto depositato da Amazon relativo a un braccialetto che i magazzinieri avrebbero dovuto indossare durante il loro lavoro.
La cosa ha destato molto scalpore e ancor più discussioni, purtroppo per i motivi sbagliati, dal momento che il filo del discorso, come ultimamente accade spesso, soprattutto quando si parla di tecnologia, ha abbandonato molto in fretta qualunque connessione con i fatti, divagando deciso sul terreno della distopia più spinta.
Dunque, prima di proseguire nel ragionamento, proviamo a ristabilire un minimo di realtà rispetto alle caratteristiche e al funzionamento di questo braccialetto.
Innanzitutto, il braccialetto non esiste. La notizia, per altro già nota e discussa negli USA da diverso tempo, si riferisce semplicemente al deposito di un brevetto da parte di Amazon. Chiunque abbia un po’ di passione per il mondo dell’hi-tech e lo segua con un po’ di costanza saprà certamente che quasi tutte le aziende depositano decine di brevetti ogni anno, un po’ per tutelare oggetti o funzionalità reali, un po’ per mettere le mani avanti e non farsi trovare scoperti se e quando dovesse venire il momento di far valere dei diritti. Per fare un esempio, sono ormai diversi anni che Samsung deposita brevetti per smartphone pieghevoli senza che questi siano disponibili sul mercato; non è detto che telefoni di questo tipo vedranno mai gli scaffali dei negozi ma, nel caso accadesse, il costo di un brevetto depositato oggi sarebbe molto inferiore alle cifre che si perderebbero domani se il brevetto non ci fosse.
Un primo punto: il braccialetto di Amazon al momento non è nient’altro che un brevetto, non è un oggetto reale, non è detto che lo diventerà mai.
Vediamo poi cosa, questo fantomatico braccialetto, dovrebbe fare.
Stando alle informazioni divulgate dovrebbe interfacciarsi con una serie di sensori posti sugli scaffali e nel magazzino e sfruttare la triangolazione dei segnali per “guidare” con dei feedback tattili (nello specifico, una vibrazione) la mano del magazziniere verso il prodotto corretto, così da minimizzare gli errori e, allo stesso tempo, liberare le mani del lavoratore dagli scanner attualmente utilizzati.
Dunque, se decidiamo di fidarci di quel che ha dichiarato Amazon, non ci troviamo di fronte a un diabolico strumento di monitoraggio del lavoro del dipendente e delle sue prestazioni.
Risultano completamente fuori bersaglio gli articoli di molti giornali e le dichiarazioni di molti politici e sindacalisti che hanno gridato allo schiavismo 2.0 senza preoccuparsi di verificare le informazioni relative a ciò di cui stavano parlando.
D’altro canto credo manchino un po’ di prospettiva anche gli articoli e le dichiarazioni opposte che, limitandosi a contrapporre al pericolo immaginato la “scheda tecnica” del braccialetto e derubricando il tutto a una polemica sul nulla, anzi a una polemica su uno strumento che potrebbe migliorare e alleggerire il lavoro dei magazzinieri, hanno perso un’occasione per provare a gettare lo sguardo un po’ più in là.
Se è vero, infatti, che per quello che Amazon dichiara il suo braccialetto è effettivamente niente più che un più comodo ed efficiente sostituto degli scanner manuali, è anche vero che un braccialetto è un oggetto che per definizione resta attaccato alla pelle del lavoratore e che potenzialmente potrebbe trasmettere una enorme quantità di dati, anche personali (penso, ad esempio, alla pressione del sangue, alla sua ossigenazione…) al datore di lavoro.
Secondo punto: il braccialetto, oggi, è uno strumento di controllo del lavoratore? Certamente no. Lo sarà domani? Stando al brevetto, no. Allora perché preoccuparsi?
Dopo anni di ubriacatura tecno-entusiasta caratterizzati dall’accettazione acritica di qualunque novità uscisse dalla Silicon Valley è da qualche mese che spuntano voci, sempre più numerose e autorevoli, che mettono in guardia rispetto agli effetti che l’utilizzo dei social network sta avendo sui fondamentali delle relazioni tra persone e, a cascata, sulla tenuta della nostra società.
Pensatori critici ci sono sempre stati, questo blog ha sempre cercato, a suo modo e con i suoi mezzi, di far parte della schiera, la vera novità è che questi dubbi iniziano ad arrivare da parte di personaggi che hanno contribuito alla creazione e allo sviluppo delle piattaforme incriminate. Torneremo sul tema in un altro post, quello che mi preme sottolineare in questo momento è che l’impressione che si ha leggendo tutte queste dichiarazioni è che i problemi siano sorti, a sentire gli intervistati, in maniera un po’ inaspettata, certamente non a seguito di precise scelte strategiche da parte di Facebook e dei suoi sodali.
Come Topolino nei panni dell’apprendista stregone, oggi gli ingegneri che lavorano alle piattaforme utilizzate ogni giorno da miliardi di persone si trovano ad affrontare un esercito di scope animate senza capire esattamente come si siano svegliate e, soprattutto, senza avere le idee chiarissime su come rimettere le cose a posto.
Possibile che tutto il clamore che ha circondato la notizia del braccialetto di Amazon sia una inutile preoccupazione montata sull’innato conservatorismo che lavora dentro ognuno di noi e che finiremo invece per vivere in un futuro in cui umani e macchine saranno armoniosamente integrati? Sì, è possibile, ma l’insegnamento più grande che possiamo cogliere dai pentiti della Silicon Valley è che certamente non raggiungeremo questa armonia senza prendere in mano la questione oggi, ponendoci domande che guardino molto in lungo, anche con il coraggio di sbagliare, anche con il coraggio di mettere, qui e là, qualche paletto.