Il rapporto sullo stato dell’editoria in Italia 2016, elaborato dall’Ufficio Studi dell’Associazione Italiana Editori sulla base dei dati del 2015 e dei primi sei mesi del 2016, dipinge un quadro di ripresa per il mercato del libro. Dopo anni di forte crisi torna un moderato clima di ottimismo, all’interno del quale la situazione degli ebook si muove fra alti e bassi.
«Cresce nel 2015 la produzione di titoli ebook, con un +21% […] Il mercato ebook copre a fine 2015 una quota del 4,2% dei canali trade e raggiunge quota 51 milioni di euro (+25,9% sul 2013).»
Il numero di titoli prodotti cresce in maniera costante e il primo semestre 2016 ha confermato il trend facendo registrare un +54,4% che, per la prima volta, ha portato le uscite in formato digitale a superare quelle in formato cartaceo.
D’altro canto, però, «i lettori di ebook sono nel 2015 circa 5 milioni, in calo.»
L’impressione, conclude il rapporto, è che i lettori abbiano imparato a costruire una dieta fatta sia di ebook che di libri cartacei e anche altre ricerche, svolte a livello internazionale, sembrano sostenere l’idea che i due formati vengano di volta in volta scelti dai lettori a seconda di numerosi fattori.
Quando si parla di digitale a scuola, però, la sensazione è che malgrado l’interesse dimostrato dagli studenti, il treno non sia mai partito, bloccato in stazione da una molteplicità di cause: scarsa dotazione tecnologica delle scuole, necessità di formazione degli insegnanti, assenza di connessioni a banda larga, costi eccessivi per le famiglie.
Sono temi certamente esistenti e importanti ma, nell’opinione di chi scrive, la vera questione che frena sul nascere la diffusione nella didattica degli ebook è quella sollevata da Roberto Casati, nel suo volume “Contro il colonialismo digitale” (2013): quale problema hanno risolto i libri digitali? La risposta è un desolante “nessuno”.
Non certo per una carenza del mezzo, quanto piuttosto per un suo utilizzo che fin qui è raramente riuscito ad andare oltre alla mera riproposizione in formato digitale di contenuti pensati e progettati per la forma cartacea spesso, tra l’altro, con grandi difficoltà nell’adattamento.
Gli ebook, però, possono e devono essere molto di più; a mero titolo di esempio, una proposta affascinante è quella avanzata da Robert Darnton nel volume Il futuro del libro, in cui immagina un prodotto “multistrato” caratterizzato da molteplici livelli di approfondimento.
Più in generale, però, la prospettiva che mi sembra più utile è quella dell’affiancamento, non della sostituzione. Libri cartacei e libri digitali assolvono funzioni non sovrapponibili e possono dare un significativo sostegno alla didattica solo se usati in sinergia.
Una breve storia degli ebook e delle loro caratteristiche aiuterà a inquadrare meglio la questione.
Breve storia degli ebook
La storia degli ebook parte lontano, nel 1971, quando l’informatico Michael Hart crea il Progetto Gutenberg con l’obiettivo di raccogliere all’interno di un archivio elettronico le versioni libere da diritti d’autore di testi disponibili a stampa e quelle di testi coperti da diritti ma per cui il loro detentore ha autorizzato la riproduzione elettronica a favore del progetto.
A cavallo fra il 1993 e il 1994 lo spirito di Hart viene raccolto, in Italia, dall’associazione Liber Liber che mette a disposizione, attraverso il Progetto Manuzio, una vasta raccolta di testi, prevalentemente classici della letteratura italiana.
Sul finire degli anni ’90 nascono i primi lettori ebook ma è fra il 2006 e il 2007, quando Sony e Amazon lanciano sul mercato i rispettivi ereader, che inizia la vera diffusione di massa. Da allora molti attori sono entrati nel mercato; tra i colossi dell’hi-tech si possono annoverare Apple con iPad e il suo iBooks Store e Google con Play Store, ma gli ultimi anni hanno visto un ampliamento significativo delle possibilità di acquisto per i lettori, che oggi possono scegliere fra molti ereader e numerosi negozi online (ma non solo) da cui acquistare i testi.
Quando si parla di ebook è necessario sottolineare che all’interno di un termine unico si trovano in realtà espressioni e manifestazioni molto diverse del concetto originario di testo fruibile elettronicamente e questo perché molteplici sono i formati che negli anni si sono affiancati, per ragioni spesso legate alle logiche esclusivamente commerciali.
Di fatto potremmo chiamare ebook, senza per altro commettere un errore, anche un semplice file Word, o un ancora più semplice file .txt. Sul sito del Progetto Gutenberg, ad esempio, tutti o quasi i libri presenti sono disponibili anche in formato .txt, per garantire la più ampia compatibilità con i supporti esistenti. Si tratta di una scelta “filosofica”, prima che tecnologica e ha certamente un senso se pensiamo che l’obiettivo del progetto è di consentire la massima diffusione e accessibilità alla cultura.
Anche il formato principe dei processi di stampa, il PDF, si può considerare un formato ebook, sebbene le sue caratteristiche (una su tutte, la totale impossibilità di intervenire sul layout della pagina e sulla organizzazione del testo) ne rendano la fruizione piuttosto scomoda sugli ereader più diffusi.
Malgrado questo, PDF è il formato fixed più comune fra quelli disponibili nel mondo ebook e, in alcuni casi, è addirittura l’unico reso disponibile dalle case editrici.
A fianco dei formati fixed troviamo numerosi formati reflowable, che consentono al lettore di intervenire sull’organizzazione del testo cambiando il tipo di carattere utilizzato, aumentando o diminuendone la dimensione, allargando o stringendo l’interlinea, la spaziatura tra le lettere, i margini della pagina, attivando o meno la sillabazione.
Il più famoso di questi formati è EPUB, divenuto uno standard aperto il cui sviluppo è curato e sostenuto da IDPF (International Digital Publishing Forum), associazione internazionale che coinvolge università, istituti di ricerca, editori e attori che a vario titolo si occupano di lettura digitale. Si diceva, però, che spesso l’evoluzione dei formati ha seguito logiche prettamente commerciali, ed è per questo che a fianco di EPUB si sono sviluppati altri formati reflowable che vengono utilizzati dalle rispettive case produttrici in maniera esclusiva sui propri ereader.
La confusione si moltiplica quando entra in gioco la questione hardware, perché i supporti fisici su cui è possibile leggere i testi sono molti e spesso molto diversi.
Ci limiteremo a dividere i lettori ebook in due grandi macrocategorie: i lettori con schermi basati su tecnologia a inchiostro elettronico e quelli basati sulla tecnologia LCD comunemente presente nei tablet.
La tecnologia e-ink è quella utilizzata dai device specificatamente pensati per la lettura (Kindle, Kobo, Tolino…) e si basa su schermi composti da microscopiche sfere cariche elettricamente e colorate per metà di nero e per metà di bianco. Tramite la creazione di un campo elettrico sulla superficie è possibile orientare ognuna delle sfere, andando così a disegnare la pagina sullo schermo.
I vantaggi sono molti:
- non c’è retroilluminazione, quindi la vista viene affaticata allo stesso modo di quando si legge su carta;
- viene richiesta alimentazione solo al cambio pagina, permettendo di creare device con batterie che durano molti giorni;
- lo schermo resta perfettamente leggibile anche sotto la luce diretta del sole.
Gli svantaggi sono altrettanto degni di nota:
- i tempi di refresh dello schermo (il passaggio da una configurazione del pattern di sfere alla successiva) sono troppo lenti per permettere di visualizzare filmati e animazioni;
- la responsività dello schermo al tocco è a sua volta troppo lenta e troppo poco precisa per garantire operazioni di sottolineatura e scrittura di appunti soddisfacenti;
- attualmente gli schermi in commercio sono solo in bianco e nero; esistono prototipi a colori ma sono ancora lontani dalla messa in commercio e, soprattutto, non possono competere con la resa cromatica degli schermi LCD;
- la risoluzione di questi schermi è ancora troppo bassa per una resa ottimale di elementi grafici diversi dai caratteri tipografici.
Venendo ai dispositivi con schermo LCD troviamo una configurazione di vantaggi e svantaggi esattamente speculare a quanto appena visto, dunque ci troviamo di fronte a schermi ad altissima risoluzione, con una resa cromatica sempre più vicina alla realtà, con frequenze di aggiornamento elevate adatte alla riproduzione di elementi video e con una sensibilità al tocco tale da garantire esperienze di scrittura e sottolineatura molto vicine a quelle offerte dalla carta, soprattutto quando si utilizzano le moderne penne. Tutto ciò si scontra con una retroilluminazione che affatica la vista, batterie che durano poche ore e una pressoché nulla leggibilità sotto la luce del sole.
Questo breve viaggio tra i dispositivi hardware e i formati software che caratterizzano il mondo della lettura elettronica potrà essere sembrato eccessivamente tecnico e inutilmente complicato, la realtà è però molto diversa.
Un elemento da cui non si può prescindere se si vuole organizzare un discorso completo sul tema dell’utilizzo dei libri elettronici nella didattica è il fatto che lo sviluppo e l’utilizzo che fin qui si è fatto degli ebook è legato in maniera inestricabile alla loro evoluzione tecnologica.
Come abbiamo visto, infatti, formati e dispositivi diversi mettono limiti a volte anche molto stringenti all’insieme delle esperienze di lettura e scrittura che è possibile offrire.
PDF permette di strutturare pagine in cui immagini e testo siano distribuiti in una maniera precisa e invariabile a seconda dello schermo, una caratteristica utile quando, ad esempio, dobbiamo immaginare un testo di storia dell’arte. In altri casi la rigidità del layout è una caratteristica meno importante da preservare e allora epub può essere la scelta giusta, grazie alla flessibilità che offre nell’adattarsi a schermi di dimensioni diverse.
Un lettore a inchiostro elettronico è straordinariamente comodo nella lettura di un testo antologico, grazie alla perfetta fruibilità in ogni condizione di luce affaticando poco o nulla la vista, ma sarà completamente inadatto a riprodurre un manuale di biologia in cui video e animazioni siano un supporto fondamentale al testo scritto o un testo di matematica in cui la possibilità di prendere appunti faccia la differenza.
La realtà è che nel momento in cui scriviamo gli ebook rappresentano una coperta corta.
Non esiste una soluzione valida per tutto, esistono invece molte soluzioni diverse tra loro, ognuna valida per uno specifico contenuto.
C’è un ultimo aspetto da valutare, che può forse spiegare perché la diffusione dei libri digitali sia stabilizzata in una nicchia molto lontana dalle dimensioni che ci si aspettava fino a pochi anni fa e, soprattutto, perché questa nicchia si tenga molto lontana dai testi scolastici.
Tra i principi ispiratori tanto di Hart quanto dei suoi seguaci italiani vi era l’idea che lo strumento tecnologico potesse essere un mezzo utile a combattere l’ignoranza e a diffondere il sapere, grazie anche e soprattutto alle caratteristiche di condivisione che ne sono parte fondamentale. Il tema della condivisione del sapere e della logica circolare che ne regola la propagazione sono importanti perché stanno alla base dell’equivoco che, nell’opinione di chi scrive, rende complicato lo sviluppo di ebook adatti alla fruizione di testi diversi dai romanzi.
Nel suo libro 3–6–9–12 — Diventare grandi all’epoca degli schermi digitali, Serge Tisseron enuclea in maniera molto chiara ciò che differenzia quelle che chiama cultura del libro e cultura degli schermi, attraverso un’analisi che tocca diversi aspetti dell’esperienza di lettura e apprendimento.
Pensiero cronologico e pensiero spazializzato
La cultura del libro «trova la sua organizzazione nella successione delle parole, delle righe di testo, dei paragrafi e delle pagine. Essa adotta un modello lineare, costruito sulle relazioni di temporalità e di causalità. […] tutta la storia si organizza intorno a un prima, un durante e un poi. Le pagine di un libro permettono di visualizzare questa successione: a sinistra ci sono le pagine già lette, a destra quelle ancora da leggere.»
La cultura degli schermi, invece, «favorisce il pensiero non lineare, in rete o circolare.»
Memoria evenemenziale e memoria di lavoro
«La cultura del libro favorisce la memoria evenemenziale. In questa cultura, sapere significa ricordarsi di quel che si è appreso […] Al contrario gli schermi mettono di fronte alla necessità di lavorare con fonti diverse, di incrociarle, di farle concordare, di metterle a confronto, di ricavarne informazioni per un uso specifico.»
La valorizzazione delle immagini
«La cultura digitale innalza le immagini, fisse o animate al rango di mezzi di simbolizzazione e di comunicazione»
Dalla prossimità fisica alla condivisione
«Nella cultura del libro, i legami privilegiati sono essenzialmente di prossimità fisica. […] Questi legami sono considerati forti, mentre quelli che implicano una minore prossimità fisica sono considerati deboli. […] Nella cultura digitale questi legami giocano un ruolo importantissimo.»
Autorità e regolazione
«Nella cultura del libro, l’autorità viene assicurata dal riconoscimento che garantiscono i diplomi […] Al contrario, nella cultura digitale, l’autorità è fondata sul riconoscimento che proviene dai pari.»
Discorso intimo e integrazione gruppale
«Nella cultura del libro che valorizza gli incontri reali, l’espressione delle esperienze intime si oppone all’appartenenza a un gruppo. […] Al contrario, nella cultura digitale, ciascuno desidera non solo di entrare in contatto con più gruppi, ma anche di trovare il gruppo, anche molto ristretto — necessariamente molto ristretto — di coloro con i quali poter condividere il maggior numero di cose. L’esposizione del sé è dunque uno strumento al servizio dell’integrazione.»
Tisseron conclude puntando lo sguardo su quella che chiama una indispensabile complementarietà. La cultura degli schermi, ci dice, «non è una “sub-cultura”, ma una cultura diversa, con dei vantaggi suoi propri. La cultura del libro incoraggia la costruzione narrativa […] Allo stesso modo, sul versante degli schermi interattivi, sono la spazializzazione dei dati e la loro visualizzazione che ne rappresentano il punto forte, piuttosto che il fatto che stimolino l’interattività e l’innovazione. Ciascuna delle due si richiama a un funzionamento cerebrale e psichico differente, in modo tale che l’essere umano va più veloce se le usa tutte e due, esattamente come si muove più rapidamente se utilizza tutte e due le gambe di cui è dotato. Ma una seconda ragione per far valere la complementarietà di queste due culture è che ciascuna delle due, se non viene equilibrata dall’altra, comporta dei pericoli significativi…
Cominciamo da quelli della cultura digitale. In relazione al sapere, si tratta del venir meno dell’attenzione e del “pensiero-zapping”. Nel campo degli apprendimenti, il rischio è analogamente di sviluppare una forma di intelligenza che permetta di riuscire senza necessariamente comprendere. […] Anche la cultura del libro presenta dei pericoli. In relazione al sapere, il pericolo principale è l’ultraspecializzazione. […] Nel campo degli apprendimenti, il rischio è la riduzione delle competenze ad apprendimenti mnemonici che contribuisce ad inibire la creatività».
Quando si parla di ebook per la didattica, la strada che ci si trova di fronte somiglia di più a una difficile arrampicata sulla roccia che a una comoda passeggiata nel bosco. Esistono problemi legati alla disponibilità economica delle scuole e delle famiglie, alla dotazione tecnologica in fatto di reti e di dispositivi di lettura, alla formazione degli insegnanti, alla confusione che regna sovrana all’interno del mondo stesso dei libri digitali, tra formati concorrenti e dispositivi di lettura adatti a scopi diversi.
Esiste, infine, un dibattito su cosa i libri digitali dovrebbero essere, un dibattito non di maniera, anzi fondamentale perché prende le mosse e mette finalmente a tema le differenze pesanti e di senso che contrappongono, per usare di nuovo le parole di Tisseron, la cultura del libro e la cultura degli schermi.
Affrontare il tema, dunque, significa tentare di ricomporre un puzzle complesso, che coinvolge discipline, competenze e figure professionali anche molto diverse. Autori, editori, informatici, giganti dell’hi-tech, ricercatori, pedagogisti, psicologi, insegnanti e studenti; la sfida coinvolge in misura diversa tutti loro (tutti noi), ma merita certamente di essere colta. Il punto, però, è che il traino deve spettare di diritto a chi lavora ogni giorno con i libri e con i ragazzi. Autori, editori e informatici e aziende come Apple, Google e Amazon sono fondamentali per portare la macchina a destinazione, ma la strada la possono indicare solo gli “umanisti” che sanno come si muove la testa dei bambini e dei ragazzi.
Il compito è complesso, ma i motivi perché venga affrontato sono importanti a molti livelli.
Un primo, più strettamente scolastico, rimanda a esperienze che hanno dimostrato come l’introduzione di ebook, spesso non in sostituzione ma in affiancamento ai libri cartacei (ed è un dettaglio fondamentale, come abbiamo già avuto modo di dire), abbia prodotto un miglioramento nei risultati degli studenti.
Ce ne sono però altri, di portata più ampia. Nel suo libro Sta scherzando, Mr. Feynman!, il premio Nobel per la fisica racconta l’esperienza vissuta con degli studenti brasiliani a cui il sistema scolastico aveva insegnato che per passare gli esami fosse sufficiente imparare a memoria ciò che era scritto nei libri. I ragazzi sapevano citare senza il minimo errore principi e formule, ma non erano in grado di capire che un pezzo di vetro nel mondo reale corrispondesse a quello che nel libro avevano memorizzato come materiale rifrangente. Possedevano migliaia di informazioni ma, semplicemente, non sapevano cosa farsene.
Un altro aspetto che colpì Feynman era legato alle domande. Nessuno le faceva mai. Uno studente gli spiegò che se le avesse fatte gli altri lo avrebbero accusato di far perdere tempo mentre tentavano di imparare.
Tisseron ha ben evidenziato come la cultura degli schermi porti a sviluppare la capacità di lavorare in gruppo e di modulare il ruolo del riconoscimento da parte dell’autorità con quello dei pari, il pensiero non lineare, la capacità di lavorare con fonti diverse, di incrociarle e metterle a confronto.
Si tratta di competenze non di poco conto se abbiamo ben in mente le ricadute sulla società che una buona digital literacy può produrre nei decenni a venire e sul tipo di futuro che vogliamo costruire.
Immagine di apertura di Chris Leipelt