Tecnologia e formazione


Mi trovo nel capannone dove lavoro, fuori è una bella giornata, dentro le macchine viaggiano a pieno regime, ingranaggi ben oliati di un meccanismo ormai rodato.

All’improvviso un colpo sordo e un lampo di luce mi fanno capire che, invece, qualcosa si è inceppato. Sono il responsabile della sicurezza e ricordo bene il protocollo, lo stavo guardando poco fa, affisso al muro.

Corro verso il grosso pulsante rosso che attiva il sistema di allarme e apre i rubinetti appesi al soffitto, da cui comincia a scendere una pioggia intensa. Rapidamente verifico che tutti i colleghi abbiano lasciato l’edificio prima di raggiungerli al punto di raccolta.
Il timer davanti ai miei occhi segna un minuto e ventidue secondi, un buon tempo. Soddisfatto tolgo le cuffie e il casco, e in un attimo mi ritrovo in un’aula universitaria, seduto davanti al computer su cui sta girando la simulazione anti-incendio.

La prima esperienza con un visore di realtà virtuale, un Oculus Rift, è stata piu spiazzante di quanto avessi immaginato.
Il senso di immersività è davvero potente, e il cervello fatica a mettere ordine fra l’occhio che comunica movimento e il resto del corpo che comunica stasi (e infatti ho avuto vertigini e uno strano senso di “mal di mare” per quasi tutta la durata dell’esperienza).

Al di là del senso di meraviglia che una simile esperienza genera in maniera naturale in chi la sperimenta per la prima volta, ciò che mi aveva colpito e che ancora oggi mi colpisce, nel momento in cui scrivo, a un mese da quella simulazione, è il fatto che ricordo in maniera pressoché perfetta la procedura da seguire in caso di incendio.
La qualità del mio ricordo è enormemente superiore a quella che sarebbe seguita al classico studio su un manuale della checklist, di cui certamente oggi avrei dimenticato qualche passaggio.

L’idea che un apprendimento sia più forte e significativo se sviluppato all’interno di contesti reali non è certamente nuova, e prima di trovare conferme nella ricerca le trova più banalmente nel buon senso di chi con la trasmissione dei saperi lavora quotidianamente.
Sorprende, semmai, che una tale efficacia possa arrivare da una situazione che reale non è per niente, ma credo si tratti di una sorpresa che tenderà a esaurirsi con il diffondersi di questo tipo di strumentazione e il conseguente utilizzo.

Dopo averla provata è difficile immaginare un futuro per la didattica e la formazione che non cerchi in qualche modo l’aiuto anche della tecnologia più fantascientifica, ma se è vero che realtà virtuale e aumentata rappresentano il futuro (abbastanza prossimo, in realtà), è altrettanto vero che le tecnologie sono in grado di giocare un ruolo importante già oggi, sfruttando dispositivi come smartphone e tablet, ormai a disposizione di quasi tutti.

È proprio sul presente che vorrei concentrarmi, perché credo che questo sia il momento chiave, quello in cui riflettere sul luogo in cui vogliamo portare l’insegnamento. Una volta scelta la destinazione e posati i binari cambiare strada non diventa impossibile, ma certamente si fa più complesso, dunque vale la pena partire con le idee chiare.
Se guardo lo scenario attuale l’impressione è che si stia lasciando questo compito di indirizzo nelle mani delle quattro grandi società che gestiscono la nostra vita online (Amazon, Apple, Google, Microsoft) che, dal canto loro, sono ben liete di aver trovato un nuovo e promettente terreno di caccia che stanno facendo di tutto per conquistare a suon di investimenti miliardari: Microsoft ha comprato Minecraft e Mojang, la software house responsabile dello sviluppo, per 2,5 miliardi di dollari, e ne ha creato una versione dedicata all’insegnamento, Apple lancerà a breve la sua app dedicata al coding, Amazon e Google offrono numerosi strumenti per insegnanti e studenti.

Si tratta di pochi esempi in un mare che si fa ogni giorno più popolato ma, di nuovo, non posso non notare come la meraviglia della novità e le spinte della Silicon Valley sembrino essere gli unici fari che guidano l’innovazione in campo educativo.
La riflessione psicologica e pedagogica, che pure è presente grazie al lavoro di tanti docenti, dirigenti scolastici e formatori, per ora è schiacciata dagli interessi di bottega.
Interessi più che legittimi, dato le aziende citate sono, per l’appunto, aziende e il loro lavoro consiste nel generare profitto.
Il fatto che si occupino con tanta forza di educazione non è certo il frutto di un’intenzione filantropica, quanto di un’attenta e misurata scelta aziendale da cui ci si attende un significativo ritorno economico. Ripeto, tutto più che legittimo. Quello che sarebbe auspicabile è un po’ di confronto in più fra chi sta a monte, gli ingegneri e i progettisti che creano gli strumenti, e chi sta a valle, i professionisti dell’educazione e della formazione che li usano.

La situazione attuale, caratterizzata da un significativo scollamento fra monte e valle, ha prodotto software e hardware di enorme utilità. Chissà quali opportunità potrebbero nascere da una collaborazione fra tutti gli attori in gioco, ognuno legittimato a mettere sul tavolo in maniera molto esplicita i propri interessi, che sono diversi ma non inconciliabili.

Immagine di copertina di Jo Szczepanska


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