Tre domande a…Annamaria Manzoni


Tre domande a…serve a uscire dal blog, a impedirgli di diventare semplicemente il punto di vista dei titolari.
Ci siamo detti che ci servivano pensieri pensati da altri, persone che come noi sono state investite dal digitale mentre abitavano un mondo diverso. Vogliamo capire come quest’ospite invadente è entrato nella loro vita e nel loro lavoro, nella loro arte e nella loro scrittura, quali corde tocca e cosa promette per il futuro.

L’ospite di questa settimana è Annamaria Manzoni, psicologa, psicoterapeuta e scrittrice.

Subito una provocazione. Prova a dirci che cosa ci guadagnano gli animali con l’incremento della presenza del digitale.

L’informatizzazione, come ogni scoperta, fenomeno, invenzione, può essere usata in infiniti e a volte opposti modi. Rispetto al mondo degli altri animali, certamente i mutamenti di atteggiamento percepibili negli ultimi decenni, con il diffondersi di diverse forme di consapevolezza e sensibilità, non sono estranei alle modalità in cui l’informazione ha cominciato a divulgarsi. L’incredibile quantità di dati, la velocità della loro diffusione, il corredo di fotografie e filmati, che sono appannaggio soprattutto delle giovani generazioni, hanno reso possibile un tipo di informazione che scavalca costantemente quella ufficiale e permette sguardi su realtà spesso denegate.

Nello specifico, la condizione degli animali è uscita allo scoperto e si è mostrata con tutta l’invadenza emotiva che contraddistingue la realtà degli allevamenti intensivi, della macellazione, della vivisezione, della riduzione in schiavitù nei circhi e via dicendo. Di fatto ha reso e rende possibile l’abbattimento di almeno due dei meccanismi di difesa che risultano fondamentali nel mantenimento dell’attuale status quo: rimozione e negazione.

La vita e la morte degli animali, in mezzo a noi, sono soggette ad un processo di occultamento e nascondimento, lo stesso che è imprescindibile per il proliferare di tanti orrori anche in ambito intraspecifico: per rimanere in ambito italiano, si pensi per esempio alla tortura, per altro non contemplata come crimine dal nostro codice penale, che può continuare ad avere luogo proprio in quanto rimossa dalla consapevolezza o negata nella sua stessa esistenza, oppure alle incivili condizioni di vita in molte carceri: il loro nascondimento è alla base della loro stessa sopravvivenza. Per quanto riguarda la condizione degli altri animali, questi meccanismi sono dirompenti: i macelli sono situati non certo a caso lontano dai luoghi abitati, non possono essere visitati né tanto meno è possibile filmare quanto avviene al loro interno; i cosiddetti esperimenti scientifici giungono alla nostra consapevolezza solo grazie a investigazioni clandestine che mostrano l’inguardabile. Il nostro contatto con i “prodotti di origine animale” è del tutto ripulito, edulcorato, trasformato; non conserva traccia di sangue e di grida. Ora, tutto quello che il sistema si industria con determinazione a tenere nascosto, giunge, grazie all’informatizzazione, alla conoscenza di chiunque non si voglia bendare la vista; si propaga alla velocità della luce, dà vita a reazioni a catena che si avvalgono poi del contributo di tutti coloro che si impegnano nello sforzo di dare una lettura critica della realtà. Da questo punto di vista si può sostenere che senza l’informatizzazione la questione animale sarebbe, senza ombra di dubbio, lontanissima dall’avere invaso, come invece sta facendo, tanti aspetti della realtà. Esiste ovviamente un’altra faccia della medaglia, le cui dimensioni sono però molto più contenute: si pensi per esempio al mondo sotterraneo degli abusi sugli animali che incrementa un vergognoso mercato clandestino di pornografia animale, su cui si potrebbe aprire un file dalle grandi dimensioni, per il quale proliferano siti e mondi sotterranei.

Raccontaci cosa possono fare, secondo la tua opinione, gli animali per un pianeta digitalizzato e veloce.

Gli animali sono quegli altri con i quali condividiamo per l’appunto la nostra parte animale: rappresentano gli istinti, la connessione diretta con il mondo della natura. In loro vediamo, quando siamo disponibili a farlo, infinite parti di noi stessi e riconosciamo in loro la capacità di mantenere un mondo di comportamenti se non immutabili, di certo tendente a ripoprorsi, soggetto a cambiamenti solo nella misura in cui le condizioni esterne obbligano ad almeno parziali modificazioni, Abbiamo incontestabilmente bisogno di loro, della loro vicinanza: come diceva Edward Wilson, che per primo ha parlato di biofilia, l’attrazione per le altre specie è un nostro tratto fondamentale, non possiamo prescindere dal contatto con loro, tanto che non a caso il numero di animali nelle nostre case è andato vertiginosamente aumentando da quando l’urbanizzazione ha reso sempre più difficile conoscerli in un contesto naturale. Di sicuro un grande file si apre sul tipo di rapporto che siamo disposti a costruire: non basta avere un compagno per sapere cosa significano affetto e amore, non basta avere vicino a sé un animale per almeno cercare di conoscerne l’essenza. Quando proviamo a connetterci davvero con loro, è con la nostra stessa naturalità che ci connettiamo: nel loro sguardo vediamo noi stessi, al di là delle sovrastrutture del nostro attuale mondo, di cui l’informatizzazione è cifra essenziale. Se è lecito, in un mondo tanto alla deriva, nutrire qualche briciola di speranza, proprio l’attrazione per il mondo degli altri animali, reperibile anche tra persone impensate, può far pensare che il bisogno di natura, essenzialità, verità esistenziale trascende a volte tutto il tecnicismo in cui siamo immersi. L’osservazione dei bambini e dell’incredibile vicinanza con il mondo degli altri animali ha tanto da insegnare in questo senso.

“Con tutti i bambini che muoiono di fame, ci mettiamo a preoccuparci per gli animali”. Questa è l’obiezione tipica di chi cerca alibi per non fare nulla per gli animali umani e neppure per i bambini. Secondo te, Annamaria, come stanno le cose nel rapporto uomo-animale, vorremmo capire se davvero cambiano e in meglio.

In effetti quella che riporti è la tipica obiezione di chi preferisce non capire. La psicologia dà a questo atteggiamento il nome di “confronto vantaggioso”, tradotto nel linguaggio comune con il neologismo di “benaltrismo”: c’è ben altro di cui occuparsi, queste sono frivolezze, e frivolo, un po’ radical-chic, è chi passa il suo tempo a discuterne. Bel modo per minimizzare la questione e tirarsene fuori non solo senza sensi di colpa, ma anzi invocando serietà, a fronte di tanti presunti perditempo.

A monte di queste osservazioni c’è l’incapacità di cogliere la portata enorme della questione animale, che sono stati in tanti a definire la più grande questione dell’umanità, a partire da Richard Wagner passando per Paolo De Benedetti, per il numero di esseri senzienti che coinvolge e per l’inaudita dose di violenza che comporta. C’è l’incapacità di cogliere che un link indissolubile lega tutte le situazioni per cui sappiamo che un battito di farfalla a Pechino scatena una tempesta a New York: se questo è vero dal punto di vista meteorologico, economico e politico, non lo è forse dal punto di vista psicologico e da quello etico? E la mattanza quotidiana degli animali non è certo un battito d’ali.

Quello che dovremo prima o poi imparare a capire è che convivere con la presenza di tutto la crudeltà che mettiamo in atto contro gli animali ci forgia come individui e influenza tutte le forme del nostro vivere: se il nostro è un mondo di orrori agiti su bambini, emarginati, derelitti, aggiungere a questi l’orrore contro gli animali, lungi dall’assolverci perché autori di crimini bagatellari, non fa che rendere il mondo un posto peggiore di quello che è. Citare allora Martin Luther King quando diceva che l’ingiustizia in un luogo è una minaccia per la giustizia in ogni altro è un must.

È fuori discussione che una diversa sensibilità nei confronti degli animali non umani nel mondo occidentale sta prendendo piede: ma è ancora molto settoriale, basata su una sorta di specismo di secondo livello per cui ci occupiamo sempre di più di alcune specie, quelle a cui appartengono i nostri pet, non solo dimenticando le altre, ma anzi facendo pagare loro un prezzo supplementare perché i nostri cani e i nostri gatti, e parliamo di 15 milioni solo in Italia, li alimentiamo appunto con “prodotti” provenienti da altre specie. E non si può sottacere che il recente benessere che va diffondendosi in tante parti del mondo comporta come automatismo la transizione da una alimentazione vegetariana o vegana, spesso per necessità e non per scelta, ad un consumo di carni e prodotti animali di dimensioni imperiose, dimensioni di cui il mezzo miliardo di maiali macellati annualmente in Cina può dare un’idea.

La soluzione, in vista di un mondo pacificato, non può che risiedere in un cambio di paradigma, in un movimento che ci veda finalmente disposti a scalzare noi stessi da quella posizione di centralità in cui il nostro antropocentrismo, speculare al nostro egocentrismo, ci ha situati per cominciare davvero, e non solo a parole, a vederci solamente come una parte, non predominante e costantemente predatoria, del tutto a cuii la natura e tutti gli altri animali partecipano. Cominciando ad essere, da subito, con le parole di Gandhi, il cambiamento che vogliamo nel mondo.

Annamaria Manzoni

ritagliataAnnamaria Manzoni è psicologa, psicoterapeuta e scrittrice.

Potete visitare il suo sito all’indirizzo annamariamanzoni.it


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