Voglio riprendere il discorso iniziato un paio di settimane fa con il post sui nativi digitali, dando per scontato per un momento che questa categoria esista così come è stata definita da Prensky, perché se trovo affascinante l’idea di una “nuova umanità” capace di manipolare con estrema padronanza innumerevoli informazioni parallelamente, trovo altrettanto interessante registrare come l’utilizzo di questi media spesso dia l’impressione di avvenire in un territorio a metà strada fra l’incoscienza e l’immaturità.
I nativi digitali dimostrano di sapere esattamente come usare le tecnologie, ma sembrano molto meno a loro agio quando si tratta di capire perché usarle. Gli esempi sono parte della cronaca quotidiana: piattaforme come Ask.fm che diventano un ricettacolo di cyberbulli coperti dall’anonimato (diversi i casi di suicidio), applicazioni come Snapchat utilizzate per lo scambio (e la vendita!) di scatti e autoscatti pornografici (spesso pedo-pornografici).
Insomma, la tecnicalità altissima non porta con sé in automatico la capacità di valutare i fini e i mezzi per raggiungerli.
La buona notizia è che le società del web stanno iniziando a muoversi per combattere questi fenomeni, stringendo le loro privacy policy e contrastando in maniera più netta chi utilizza le loro piattaforme violandone le regole. Un paio di esempi su tutti sono l’apertura della sezione contro il bullismo da parte di Facebook e l’acquisizione di Ask.fm ad opera del portale Ask.com, avvenuta certo per limitare i danni di immagine derivanti dalla quasi omonimia dei due servizi ma che avrà come effetto “collaterale” la messa in atto di politiche di controllo del cyberbullismo molto più rigide.
Questa è la parte che tocca ai giganti del web. Si tratta, per ora, di un timido passo verso la costruzione di una rete più socialmente regolata, ma è incoraggiante notare come il far west inizi a sembrare a tutti gli attori in gioco un modello di sviluppo non più sostenibile.
Resta da discutere la parte che spetta a ognuno di noi nella multiforme veste dell’utente, del genitore, del fratello, del professionista. Si tratta della parte più importante, perché è l’unica in grado di fornire ai nativi digitali gli strumenti per utilizzare in maniera consapevole le straordinarie potenzialità della rete in funzione collaborativa e prosociale.
Se infatti sono cambiati gli strumenti attraverso cui viviamo le nostre relazioni non sono cambiati i bisogni che tramite le relazioni miriamo a soddisfare. Il riconoscimento, il sostegno reciproco, la collaborazione, lo stare insieme come modalità per svilupparci come individui e come società restano i fari che dovrebbero guidare il nostro agire privato e sociale. Riscoprire il noi è la chiave di cui abbiamo bisogno per contrastare la tendenza con cui i social network stanno ridefinendo la rete intera, quella che trasforma la realtà in un palcoscenico su cui ognuno vede gli altri come comprimari e spettatori di una narrazione di cui sono i soli protagonisti. Si tratta, in fondo, di restituire alla rete il suo significato originario, quello di connessione fra persone che collaborano in posizione di uguaglianza gli uni con gli altri. Un processo tutto sommato semplice.
Fatto il primo passo, modificata la lente con cui guardiamo questi strumenti, il resto seguirà (quasi) da solo.